La palafitta di Tombola di Cerea (Verona) (Scavo 1999)
DOI:
https://doi.org/10.6092/issn.1974-7985/9094Parole chiave:
palafitta, età del Bronzo, Paleovalle del Menago, sedimentazioni torbo-palustri, ceramica, dendrocronologia, archeobotanica, archeozoologiaAbstract
La palafitta è stata scoperta nel 1955 all'interno della Valle del Menago, poche centinaia di metri a Sud del gruppo di case di Tombola di Cerea (VR). Dopo un primo scavo effettuato nello stesso anno da parte di Francesco Zorzi, direttore del Museo Civico di Storia Naturale di Verona, le ricerche sono riprese nel 1999 da parte della Soprintendenza Archeologica del Veneto. I risultati di queste ricerche hanno accertato che l'abitato preistorico era posto su palafitta all'interno di un ambiente di tipo palustre. Sono conservati solo dei pali verticali e alcune travi orizzontali, che fanno ipotizzare l'esistenza di una piattaforma lignea. Gli elementi strutturali della palafitta trovano confronti in altri abitati d'ambiente umido della media età del Bronzo. L’inquadramento geomorfologico finalizzato alla ricostruzione paleogeografica mostra che il sito si colloca al centro della Paleovalle del f. Menago, un’incisione larga alcune centinaia di metri e profonda oltre una decina di metri, alla base di un potente spessore di torbe. Gli studi pregressi, relativi all’origine della profonda incisione generata dall’omonimo fiume di risorgiva, si richiamano principalmente a fattori geodinamici legati a linee tettoniche sepolte, quali moventi principali per le incisioni causate dalle diversione di canali di rotta atesini richiamati verso il bacino delle Valli Grandi Veronesi, verificatesi in età tardoglaciale-olocenica antica. L’analisi di nuove litostratigrafie rilevate su esposizioni individuate all’interno della paleovalle, ha condotto a riscontrare la presenza di uno spesso e pressoché continuo riempimento di sedimenti organico-torbosi, che contrassegnano gli accrescimenti e le sedimentazioni verificatesi a partire dai livelli basali della stazione palafitticola, deposizioni che sono perdurate sino a date piuttosto recenti. Una serie di dettagliati confronti operati con i termini delle sequenze di riempimento torboso-detritiche del bacino che si sviluppava all’esterno delle arginature del vicino e coevo sito di Fondo Paviani, ha portato a verificare un’analoga evoluzione negli accrescimenti che contrassegnano i tratti superiori di queste due importanti successioni alluvio-organiche. Si giunge in definitiva a far intervenire una medesima incidenza di fattori antropici e climatici quali concause principali nello sviluppo dei riempimenti sommitali della Paleovalle del Menago, in corrispondenza della stazione palafitticola della Tombola di Cerea e del sito arginato di Fondo Paviani. Lo scavo ha restituito un notevole quantitativo di materiale ceramico (ca. 620 kg) e una percentuale minoritaria di manufatti in bronzo, terracotta e osso-corno. Il presente contributo si concentra sull'analisi crono-tipologica dei materiali focalizzando l'attenzione sulla ceramica di impasto medio-fine ai fini dell'inquadramento complessivo e del confronto con materiale proveniente da siti geograficamente limitrofi. Le datazioni assolute delle strutture lignee, ottenute dall’applicazione della dendrocronologia e dal radiocarbonio, collocano gli elementi verticali di Tombola di Cerea nella seconda metà del XV secolo cal BC, o al più tardi nei primi decenni del XIV secolo cal BC; essi sono stati ottenuti da alberi di quercia abbattuti in momenti successivi, a intervalli di circa 10 anni. Le ricerche archeobotaniche hanno compreso un’analisi palinologica condotta su 18 campioni presi da una carota prelevata all'interno dell’abitato palafitticolo, ed un’analisi carpologica e xilo-antracologica su due campioni provenienti da unità stratigrafiche cronologicamente corrispondenti alla parte basale della carota. L’analisi dei resti vegetali ha permesso di disegnare il quadro ambientale dell’insediamento. Il luogo era ricco di ambienti umidi soprattutto ripariali, con boscaglie d’igrofile e con elofite, con situazioni di prati periodicamente inondati e fossati poco profondi. La presenza antropica è suggerita dalla coltivazioni di cereali e altri indicatori antropogenici. Inoltre i dati carpologici e/o pollinici testimoniano la disponibilità nell’area di varie piante con frutti eduli, come prugnolo, nocciolo, ribes, noce e vite. Il ritrovamento di reperti di Baldellia ranuncoloides -una specie oggi minacciata- sottolinea come le ricerche archeobotaniche forniscano informazioni anche dal punto di vista naturalistico utili per conoscere meglio la storia di specie oggi in rarefazione. L’insieme faunistico è composto complessivamente da 1995 reperti ossei. Quasi l’80% dei resti è stato identificato a livello specifico. La maggior parte dei resti appartiene alle specie domestiche: bue, pecora, capra e maiale, seguite da cavallo e cane. La distribuzione delle classi d’età mostra come l’allevamento degli Ungulati fosse finalizzato non solo all’ottenimento di carni, ma anche alla produzione di latte e lana. La pratica della caccia, volta allo sfruttamento di specie di ambiente forestale (cervo, capriolo, cinghiale), appare un’attività marginale. Le tracce di macellazione sono numerose e attestano l’utilizzo di strumenti sia litici sia metallici. Durante lo studio sono stati riconosciuti 18 manufatti in materia dura animale, ben conservati, che hanno permesso l’identificazione delle tracce di lavorazione utili per la ricostruzione delle catene operative.Downloads
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